Le storie autobiografiche non sono superflue

storie autobiografiche

Mi son sempre chiesta:

Perché preferisco guardare sempre film e leggere romanzi autobiografici?

La risposta è arrivata dal meraviglioso saggio di Gottschall (L’istinto di narrare): perchè dalle storie di altri si può imparare tanto della propria storia. Perchè le storie rappresentano un mondo simbolico di autoconoscenza straordinaria!

Quando entriamo a contatto con una storia, la nostra mente macina a getto continuo. Ogni parola è un tratto di colore. Parola dopo parola, pennellata dopo pennellata, lo scrittore crea immagini che hanno tutta la profondità e la vivezza dell’esistenza reale‘.

Leggendo una storia, a maggior ragione se autobiografica, ci catapultiamo nella vita di quel personaggio sperimentando con lui vicende, avventure, gioie e dolori. Le storie ci dotano di un archivio mentale di situazioni complesse che un giorno potremmo trovarci ad affrontare, scrive Pinker nel suo saggio: Come funziona la mente.

E ancora: le storie vengono descritte da Calvino come un catalogo di destini che si possono dare ad un uomo o una donna oppure come simulatori di volo per allenarsi alla vita sociale, sostiene la psicologa Keith Oatley. Le storie potrebbero rappresentare il paracadute per sperimentare prima a livello di percezione mentale e emotiva ciò che potrà accadere nella realtà senza schiantarsi al suolo. La finzione narrativa è una sorta di primitiva realtà virtuale.

La finzione narrativa è come una droga per l’uomo, una forma di piacere che sebbene non produca risultati tangibili in termini di sviluppo biologico (non ha di certo lo stesso valore che ha avuto il dito pollice, elemento fondamentale per l’uomo nello sviluppo della funzione prensile e che la fiaba di Pollicino in questo senso ci ricorda), ha da sempre affascinato l’uomo e lo ha da sempre aiutato ad evolvere, comprendere meglio la sua realtà.

Fin dall’antichità, sappiamo che gli uomini si raccoglievano intorno ad un fuoco, in cerchio a raccontarsi storie: non solo come forma di intrattenimento ma come educazione alla vita, come forma di sapere per il cuore e per la mente che si è tramandato oralmente fino a noi nelle fiabe classiche e nei miti.

E oggigiorno, questo sapere si è anche trasformato in potere di vendita. Sappiamo infatti che lo storytelling si annovera di fatto tra le tecniche di marketing più usate per persuadere e attrarre clienti verso un determinato prodotto oppure per avere seguito in programmi televisivi (il wrestling ne è un esempio). Idem nel campo dell’insegnamento: se si fanno esempi concreti di ciò che si spiega, relativi alla propria vita o a quella altrui, l’argomento stesso prende forza e l’attenzione dei discenti decolla.

Siamo immersi nelle storie, non se ne può fare a meno, nemmeno in tempi di guerra o di isolamento come quello che stiamo vivendo.

In questi tempi difficili di Covid, dove i lockdown si susseguono, i negozi e i ristoranti chiudono, le storie sono una risorsa mai ferma e mai chiusa. Le storie, da quelle strazianti di chi perde il lavoro o viene ricoverato in ospedale, a quelle gioiose di chi si è salvato, di chi ha manifestato con coraggio il suo dissenso, accompagnano le nostre vite, sono una finestra aperta sulle mille possibilità della vita, un nutrimento per chi ha perso la speranza. La mente si rigenera perché dall’ascolto delle storie posso immaginare soluzioni, situazioni a cui non avevo pensato prima: gli orizzonti si allargano, i miei schemi mentali si fanno più flessibili e mi si aprono alternative che prima magari non ero riuscita a vedere.

Le storie portano a immaginare.

L’immaginazione porta a ispirare le persone.

L’ispirazione porta a creare.

La creazione porta a cambiare, il cambiamento porta ad evolvere.

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